Questo terzo ponto fu aggionto per avvertire il pontefice della sua vecchiezza e prossima mortalità, et indurlo piú facilmente a condescendere, per non lasciare la sua posterità erede del dispiacer che sentiva l'imperatore per la sua renitenza. A queste proposte rispose il pontefice, commentando la buona volontà dell'imperatore e le opere fatte in publico servizio della Chiesa, e concludendo d'aver udite le proposizioni, alle quali averebbe avuto la considerazione che meritavano, e risoluto quello che avesse piacciuto a Dio inspirargli. Il cardinale, dopo aver provato in diverse audienze private d'aver qualche buona risoluzione dal pontefice, vedendo che altro non si poteva da lui avere, lasciata la instruzzione a don Diego di Mendozza, quale l'imperatore a questo effetto aveva fatto andar a Roma da Siena, dove si ritrovava per accommodare le differenze di quella republica, si partí e tornò in Augusta. Don Diego, nel concistoro publico congregato per dar il capello al cardinale di Ghisa, dove ogni qualità di persone può esser presente, si presentò inanzi al papa e gli espose l'istesse cose dette dal cardinale, aggiongendo aver commissione, se la Santità Sua interponeva dilazione o scusa, di protestare che la sinodo di Bologna non era legitima. Rispose il pontefice volere prima intendere la mente e le raggioni de' padri del concilio di Bologna, e communicare la proposta co' re e prencipi cristiani, per far risoluzione matura in servizio di Dio e sodisfazzione commune.
Il cardinale di Ghisa in quello stesso concistoro fece un publico raggionamento per nome del re di Francia, e disse in sostanza: che il re Francesco non aveva mai perdonato a spesa e pericoli per mantenere la libertà anco degli altri prencipi: in conformità di che Enrico, non degenerando dalla bontà paterna, subito cessato il dolore per la morte del padre, aver voluto dichiarare la sua osservazione verso la Sede romana; esser illustri i meriti de' re di Francia verso i pontefici e superare tutti quelli delle altre nazioni.
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