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      Mandò anco il pontefice a congregati in Bologna ad intimare l'istesso decreto: i quali mandarono a Roma immediate.
      Ma il cardinal Pacceco e gl'altri spagnuoli rimasti in Trento, che si ritrovarono insieme al numero di 13, avendo prima mandato ad intender la mente dell'imperatore, risposero alla lettera del pontefice sotto il 23 marzo in questa sostanza: che confidavano nella benignità e prudenza sua, qual facilmente conoscerà essi, nell'aver contradetto alla traslazione, nell'aver taciuto, nell'esser restati in quella città, niente aver manco pensato che d'offender la Santità Sua; anzi la principal causa del dissentir dagli altri esser stata il veder che si trattava di cosa gravissima, senza saputa della Santità Sua: nel che anco desideravano che non fosse tenuto sí poco conto dell'imperatore. Che pareva loro chiaro che la traslazione non dovesse esser ben interpretata, né facilmente approvata dalla Santità Sua, la qual pregavano di non credere che l'imperatore abbia prevenuto la querela loro, aspettata dalla Beatitudine Sua, sopra la illigitima traslazione del concilio, perché essi glie n'abbiano fatto querela, ma per proprio moto di Cesare, il quale riputava appartenere a lui la protezzione della Chiesa; che non sarebbe mai venuto in mente loro la Santità Sua aver potuto desiderar questo officio d'esser aiutata da essi, la qual riputavano aver avuto intiero conto da' suoi legati, avendo essi parlato in publico e con scrittura de notarii; che pareva loro bastar aver detto il parer loro e del resto tacere.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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