[Il papa consulta il ritorno del concilio in Trento]
Il pontefice, ritiratosi con i piú confidenti suoi, considerando che quella era la piú importante deliberazione che potesse occorrere nel suo ponteficato, bilanciò le raggioni che lo potevano persuadere o dissuadere. Considerava prima che, rimettendo il concilio in Trento, condannava la translazione fatta a Bologna, principalmente per opera sua, e che era un'aperta confessione d'aver operato male, o per propria volontà, o per motivo d'altri; e se pur altro non fosse passato che la translazione, non esser cosa di tanto momento; ma l'aversi fatto parte a defenderla et anco con acrimonia, non si poteva scusare che non fosse malizia, quando si retrattasse con tanta facilità. Ma quello che piú importava, metteva sé e la Sede apostolica in tutti i pericoli, per liberarsi da' quali Paolo, prencipe prudentissimo, giudicò sicurarsi, e sino alla morte perseverò in quel parere, che fosse errore manifesto il rientrarvi. E se ben forse l'animo de molti non fosse mal disposto contra lui, come nuovo pontefice, nondimeno esser cosa certa che la maggior parte non pretendono essere gravati dal papa, ma dal ponteficato; et anco, quanto s'aspetta al particolare, nissun esser certo che in progresso non possi occorrer cosa che gli concitasse odio maggiore, eziandio senza sua colpa. Oltra che non tutti gli uomini si movono per l'odio, ma quelli che sono i piú nociuti lo fanno per avanzare se stessi con la depressione d'altri. Però potersi concludere che restino le stesse raggioni che costrinsero Paolo per necessitar anco Giulio all'istessa risoluzione.
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