I ministri imperiali et altri catolici zelanti, a chi Cesare la communicò, giudicavano che quel tenore dovesse essacerbar i protestanti e dargli occasione di non accettar quel concilio, nel quale il papa dicchiarava non tanto di volervi presedere, ma anco di volerlo indrizzare; oltra che il dire di riassumerlo e proseguirlo era mettergli in troppo sospezzioni, et il parlar cosí magnificamente dell'autorità sua era un irritargli. Consegliarono l'imperatore di far opera che il pontefice moderasse la bolla e la riducesse in forma che non dasse occasione a' protestanti d'alienarsi maggiormente. Ne trattò l'imperatore col noncio e scrisse al suo ambasciatore che ne parlasse al papa, pregando Sua Santità affettuosamente et efficacemente e per la carità cristiana che indolcisse quelle parole che potevano divertir la Germania da accettar il concilio. Trattò l'ambasciatore in Roma con la destrezza spagnuola: proponeva che, sí come le fiere prese a laccio conviene tirarle al passo, mostrando di cedergli, né fargli veder il fuogo o le arme per non irritarle e ponerle in desperazione che gli fa accrescer le forze, cosí bisogna co' protestanti, quali con dolci maniera e con instruirgli et ascoltargli conveniva tirargli al concilio, dove quando saranno ridotti sarà tempo di mostrargli la verità. Che il fargli la sentenza contra inanzi che udirgli, era un essacerbargli et irritargli maggiormente. Il papa, con la solita libertà, rispose non voler esser insegnato a combattere col gatto serrato, ma volerlo in libertà che possi fuggire; che a ponto il ridur i protestanti con belle parole al concilio e là non corrisponder co' fatti, era far che, entrati in desperazione, pigliassero qualche precipitosa risoluzione; che quello che s'ha da fare, se gli dica pur alla chiara.
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