Poi dal secretario fu letto il procuratorio imperiale e dal conte di Montfort parlato, con dire che Cesare, dopo impetrata la redozzione del concilio in Trento, non aveva cessato di far opera che i prelati delli Stati suoi vi si trasferissero: il che dimostra la presenza degl'elettori e la frequenza de' padri; ma per maggior testimonio del suo animo aveva mandato don Francesco del regno di Spagna et un altro delli Stati patrimoniali, e di Germania sé, quantonque indegno, pregando d'esser per tale ricevuto. Rispose Giovanni Battista Castello, promotore, per nome del concilio, aver sentito il mandato di Cesare con piacere, avendo da quello e dalla qualità de' procuratori constituiti concepito quanto si può promettere; onde spera aiuto da loro et admette quanto può il mandato cesareo. Fu parimente letto il procuratorio del re de' Romani in persona di Paolo Gregoriani, vescovo di Zagabria, e Federico Nausea, vescovo di Vienna, e parlò questo secondo, e gli fu risposto come a quelli dell'imperatore.
[Amiot si presenta pel re di Francia. Dopo longa contesa con gli spagnuoli, le lettere del re sono lette]
Dopo di questo comparve Giacomo Amioto, abbate di Belosana, per nome del re di Francia, con lettere di quella Maestà; le quali presentò al legato, ricercando che fossero lette et udita la sua credenza. Il legato, ricevutele, le diede al secretario da leggere. La soprascrizzione era: "Sanctissimis in Christo patribus conventus tridentini", la qual letta, il vescovo d'Orense e dopo lui gli altri spagnuoli dissero ad alta voce quelle lettere non esser inviate a loro, che erano concilio generale legitimo, e non convento, che però non fossero lette né aperte nella publica sessione, ma se il messo voleva dir alcuna cosa andasse a casa.
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