Cura che, dovendosi alla persona piú principale e piú idonea, senza difficoltà fu sempre del vescovo; e dove le chiese molto numerose erano, le proposte e deliberazioni si facevano dal vescovo, prima nel collegio de' preti e diaconi, che chiamavano presbiterio, e là si maturavano per ricever poi l'ultima risoluzione nella general congregazione della chiesa. Questa forma era ancora in piedi del 250, e dalle epistole di Cipriano si vede chiaro, il quale nella materia de' sacrificati e libellatici scrive al presbiterio che non pensava a far cosa senza il loro conseglio e consenso della plebe; et al popolo scrive che, tornato, essaminerà le cause e meriti in presenza loro e sotto il loro giudicio; et a quei preti che di proprio capriccio ne avevano reconciliati alcuni, scrisse che renderanno conto alla plebe.
La bontà e carità de' vescovi faceva che il loro parer fu per il piú seguito et a poco a poco fu causa che la Chiesa, raffreddata la carità e poco curandosi del carico impostogli da Cristo, lasciò la cura al vescovo, e l'ambizione, affetto assai sottile e che penetra in specie di virtú, la fece prontamente abbracciare. Il colmo della mutazione fu cessate le persecuzioni. Et allora i vescovi eressero come un tribunale, il quale divenne frequentatissimo. Perché crebbero anco con le commodità temporali le cause delle liti. Il giudicio, se ben non era come l'antico quanto alla forma di deliberare il tutto col parer della Chiesa, restava però della stessa sincerità. Onde Constantino, vedendo quanto era di frutto per terminar le liti e che con l'autorità della religione erano scoperte le azzioni capziose non penetrate da' giudici, fece legge che le sentenzie de' vescovi fossero inappellabili e fossero esseguite da' giudici, e se in causa pendente inanzi al giudicio secolare, in qualonque stato d'essa, qual si voglia delle parti, eziandio repugnante l'altra, dimandasse il giudicio episcopale, gli fosse immediate rimesso.
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