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      Delle appellazioni parlò con molta dignità Giovanni Gropero, che in quel concilio interveniva e per teologo e per iurisconsulto, dicendo che mentre che il fervor della fede durò ne' petti de' cristiani, fu inaudita l'appellazione; ma raffreddata la carità ne' giudici e dato luogo agl'affetti, sottentrò nella Chiesa, per le stesse raggioni che l'introdussero nel foro del secolo, cioè per sollevazione degl'oppressi; e sí come i giudicii primi non erano del solo vescovo, ma di lui col concilio de' suoi preti, cosí l'appellazione si devolveva non ad uno, ma ad un'altra congregazione. Ma i vescovi, levate le sinodi, instituirono li fori et ufficiali a guisa de' secolari. Né il male si fermò in questo grado, anzi passò ad abusi maggiori che nel foro secolare, imperoché in quello l'appellazione non si può interporre se non al superiore immediato: il saltar alla prima al supremo non è lecito; né meno è permesso negl'articoli della causa appellare da' decreti del giudice che chiamano interlocutorii, ma è necessario aspettar il fine; dove negl'ecclesiastici s'appella d'ogni atto, che fa le cause infinite, et immediate al supremo, che porta le cause fuori delle regioni, con dispendii et altri mali intolerabili. Questo egli diceva aver narrato per concluder che, volendo riformar questa materia, la quale è tutta corrotta e non solo impedisce la residenza, come nelle congregazioni da tanti valenti dottori e padri era stato considerato, ma maggiormente perché corrompe tutta la disciplina et è di gravame a' popoli, di spesa e di scandalo, conveniva ridurla al suo principio, o quanto piú prossimo fosse possibile, mettendosi inanzi gl'occhi un'idea perfetta et, a quella mirando, accostarsi quanto la corrozzione della materia comporta.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





Giovanni Gropero Chiesa