Pareva che impedisse assai l'autorità episcopale certa sorte de prelati, i quali, per conservarsi in qualche riputazione nel luogo dove abitavano, impetravano dal pontefice autorità di poter castigar i delitti degl'ecclesiastici in quel luogo, et alcuni vescovi anco sotto pretesto che i preti loro ricevessero scandali e mali essempii da quelli delle diocesi vicine, impetravano autorità di potergli castigare. Questo disordine desiderando alcuni che fosse rimediato con revocar totalmente simili autorità, ma parendo che, se ciò si facesse, sarebbe dato disgusto a molti cardinali e prelati potenti che abusavano tal autorità, fu trovato temperamento di conservargliela senza pregiudicio del vescovo con ordinare nell'ottavo capo che questi non potessero procedere se non con l'intervento del vescovo o di persona deputata da lui. Era un altro modo di sottopor le chiese e persone d'una diocese ad un altro vescovo, con unirle alle chiese o beneficii di quello; il che, se ben veniva proibito con termini generali nella settima sessione, però non essendo tanto chiaro, quanto alcuni averebbono desiderato, ne dimandarono espressa dicchiarazione; sopra che si venne in risoluzione di proibir ogni unione perpetua di chiese d'una diocesi a quelle dell'altra, sotto qualonque pretesto.
I regolari facevano grand'instanzia di conservar i loro beneficii e di racquistar anco i già perduti con l'invenzione delle commende perpetue, e molti vescovi per diversi rispetti desideravano suffragargli: per la qual causa averebbono volontieri proposto che le commende perpetue fossero a fatto levate, ma dubitando della contradizzione, si restringevano a moderarle.
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