Ma quando andò nuova a Roma della concessione del calice dal duca di Baviera fatta a' suoi sudditi, entrò in grandissima escandescenza contra di lui: pur mise questa appresso le altre cose, a' quali dissegnava proveder tutt'insieme, pieno di speranza che ogni cosa gli dovesse esser facile, riformata la corte, e non turbandosi, quantonque vedesse il numero crescere. Imperoché pochi giorni dopo l'ambasciatore di Polonia, andato espresso per congratularsi con Sua Santità per la sua assonzione al pontificato, gli fece per nome del re e del regno 5 dimande: di celebrar la messa nella lingua pollaca; di usar la communione sub utraque specie; il matrimonio de' preti; che il pagamento delle annate fosse levato, e che potessero far un concilio nazionale per riformar i proprii abusi del regno e concordar la varietà delle opinioni. Le qual dimande ascoltò con indicibile impazienza e si pose a detestarle acerrimamente ad una per una con eccessiva veemenzia. E per conclusione disse che un concilio generale in Roma farebbe conoscer le eresie e le male opinioni di molti, alludendo alle cose fatte in Germania, in Austria et in Baviera. Et essendo il pontefice per queste raggioni quasi risoluto in se stesso, o volendo mostrar di esserne, che fosse necessario far il concilio, disse a tutti gl'ambasciatori che scrivessero a suoi prencipi la deliberazione di far un concilio lateranense simile a quell'altro cosí celebre. E destinò noncii all'imperatore et al re di Francia per essortargli alla pace tra loro, se ben in Francia aveva negoziazione piú secreta.
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