Prese anco di qui occasione il papa di rammemorare due ordinazioni quell'istesso anno fatte da quel re, dicendo esser contra la libertà ecclesiastica, quali egli era risoluto che fossero annullate. L'una fu publicata il primo marzo, che i matrimonii fatti da figli inanzi il trigesimo anno finito, e dalle figlie inanzi il vigesimoquinto, senza consenso del padre o di chi gli ha in potestà, siano per se medesimi nulli. L'altro, del primo maggio, che tutti i vescovi e curati risedessero, in pena di perdita delle entrate, con imposizione d'un sussidio estraordinario, oltre le decime ordinarie, per pagare 5000 fanti. Il pontefice a queste cose non pensò quando ne ebbe nuova, essendo la guerra in atto et avendo bisogno del re: cessato questo, si doleva che fosse posta mano sino ne' sacramenti e gravato il clero insopportabilmente. Perciò diceva esser necessario con un concilio proveder a tanti disordini, che erano molto maggiori abusi, che quanti si sapevano oppor all'ordine ecclesiastico; che bisognava di qua incomminciare la riforma; che i prelati francesi non ardivano parlare stando in Francia, ma quando fossero in concilio in Italia, liberi dal timore del re, si sarebbero ben uditi i lamenti e le querele. In questi disgusti, parte d'allegrezza fu al pontefice che un colloquio incomminciato in Germania per componer le differenze della religione, il qual dava molta molestia al papa et alla corte, come sempre quei colloquii dato avevano, era risoluto in niente. L'origine, progresso e fine del quale, per intelligenza delle cose seguenti, mi par necessario raccontare.
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