Mentre sta in questi pensieri, ritrovandosi anco molto indisposto del corpo, ecco la morte del re di Francia, successa a' 2 luglio per una ferita ricevuta nell'occhio correndo alla giostra; della quale fece dimostrazione grandissima di duolo, et in vero se ne doleva. Perché, se ben sospettò e con raggione, per l'intelligenza tra i due re, nondimeno pur restava qualche speranza di separargli; ma morto questo, si vedeva a discrezione di quel solo, e piú temeva, cosí per esser piú offeso, come per esser di natura occolta e difficile da penetrare. Temeva anco che nel regno di Francia non s'allargasse afatto la porta per introdur le sette e che non si stabilissero inanzi che il nuovo re acquistasse tanta prudenza e riputazione, quanta si vedeva necessaria per opporsi a tante difficoltà. In queste angostie visse pochi giorni afflitto e deposte tutte le speranze che l'avevano sino allora sostenuto, morí il 18 agosto, non raccommandando altro a' cardinali salvo che l'ufficio dell'Inquisizione, unico mezo, come diceva, di conservar la Chiesa; essortando tutti a metter i loro spiriti per stabilirlo ben in Italia e dovunque si potesse.
Morto il pontefice, anzi spirante ancora, per l'odio concepito del popolo e plebe romana contra lui e tutta la casa sua, nacquero cosí gran tumulti in Roma, che i cardinali ebbero molto piú a pensare a quelli, come prossimi et urgenti, che a' communi a tutta la cristianità. Andò la città in sedizione; fu troncata la testa alla statua del papa e tirata per la città; furono rotte le preggioni publiche e liberati piú di quattrocento incarcerati ritenuti in quelle, e nel luogo dell'Inquisizione, che a Ripeta era, andati, non solo estrassero li preggioni, ma posero fuogo in quello et abbruggiarono tutti i processi e scritture che si vi guardavano, e poco mancò che il convento della Minerva, dove i frati soprastanti a quell'ufficio abitavano, non fosse dal popolo abbruggiato.
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