Ma trattando longamente come rimediare all'inconveniente e, dopo molte cose proposte e discusse, non trovando come introdur negozio senza pericolo di maggior incontri, quando gl'elettori fossero intromessi in questa meschia, come sarebbe stato impossibile tenergli fuori, fu commun parer che ogni negoziazione fusse da fuggire, come quella che terminerebbe con qualche indegnità del pontefice, e che meglio era non aspettar che l'imperatore facesse alcuna ricchiesta. Fu approvato il parere dal pontefice, parendogli che era prudenza donare quello che non si poteva né vender, né ritenere, e mandò immediate a chiamar Francesco della Torre, ministro dell'imperatore che era in Roma, e gli disse che egli approvava la rinoncia di Carlo e la successione di Ferdinando all'Imperio, e che gl'averebbe scritto co' titoli consueti e che di ciò dovesse avisare.
Applicò l'animo dopo questo al concilio, certo in se stesso che gliene sarebbe fatto instanza da diverse parti. Molte difficoltà gl'andavano per l'animo, sí come esso diceva, conferendo col cardinale Morone, in che confidava per la prudenza et amicizia, se era ben per la Sede apostolica far il concilio o no, e se non, quello che fosse meglio: negarlo assolutamente et opporsi alla libera a chi lo chiedeva, o mostrar di volerlo, mettendogli impedimenti oltra quelli che il negozio da sé porterebbe; e se il celebrarlo era utile, quello che fosse meglio: aspettar d'esser ricchiesto, o pur prevenire e ricchiedere. Se gli rapresentavano alla mente le cause perché Paolo III sotto colore di traslazione lo disciolse, et i pericoli scorsi da Giulio, se la buona ventura non l'avesse aiutato; non esservi già un Carlo imperatore al presente, del quale si possi tanto temere, ma quanto i prencipi sono piú deboli, tanto i vescovi esser piú gagliardi e doversi aver maggior avvertenza a questi, che non possono alzarsi se non sopra le rovine del ponteficato.
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