L'opporsi a chi domanderà concilio all'aperta esser cosa piena di scandalo, per il nome specioso e per l'openione che il mondo ha, se ben vana, che ne debbia seguir frutto, e perché ogni uno è persuaso che per l'aborrimento della riforma venga ricusato il concilio, esser cosa di tanto maggior scandalo, e se poi per necessità si venga a conceder quello che assolutamente sia negato, esser una total perdita della riputazione, oltra che incita il mondo a procurar l'abbassamento di chi s'è opposto. In queste perplessità teneva il pontefice per cosa chiara non potersi far concilio con frutto alcuno della Chiesa e de' regni divisi e senza mettere in pericolo l'autorità ponteficia, e che di questa verità il mondo era incapace; perilché non poteva opporsi all'aperta. Ma restava incerto se, ricercandolo i re o i regni, le congionture delle cose future potessero divenir tali che gl'impedimenti occolti avessero effetto. Tutto pensato, concluse in ogni evento, per restar piú nascosto, esser ben mostrarsi pronto, anzi desideroso, e prevenir i desiderii degl'altri [per restar piú nascosto] nell'attraversarli e per aver maggior credito in rapresentare le difficoltà contrarie, rimettendo alle cause superiori quella deliberazione alla quale il giudicio umano non può giongere.
Cosí risoluto di queste tanto, e non piú oltre, fatta la coronazione all'Epifania, il dí 11 del mese tenne una numerosa congregazione de cardinali, nella quale con longhe parole manifestò l'animo suo esser di riformar la corte e di congregar il concilio generale, imponendo a tutti che pensassero le cose degne di riforma et il luogo, tempo et altri preparatorii per congregar una sinodo, che non riuscisse con frutto di quella che già due volte fu congregata; e dopo questo, ne' privati raggionamenti cosí con cardinali, come con ambasciatori, in ogni occasione parlava di questa sua intenzione; non però operava cosa che la dimostrasse piú chiaramente.
| |
Chiesa Epifania
|