E per colmo di rigore, la proibizione di qualonque libro contenuto in quel catalogo era in pena di scommunica latæ sententiæ, riservata al papa, privazione et inabilità ad officii e beneficii, infamia perpetua et altre pene arbitrarie. Di questa severità fu fatto ricchiamo a questo papa Pio, che successe, il quale rimise l'Indice e tutta questa materia al concilio, come s'è detto.
Furono sopra i proposti articoli varii pareri. Ludovico Becatelli, arcivescovo di Ragusi, e fra Agostino Selvago, arcivescovo di Genova, ebbero opinione che nissun buon effetto può nascere dal trattar in concilio materia de libri, anzi che potesse piú tosto nascer impedimento alla conclusione di quello per che il concilio è congregato principalmente. Poiché, avendo Paolo IV, con conseglio di tutti gl'inquisitori e de molti principali, da' quali ebbe avisi da tutte le parti, fatto un catalogo compitissimo, non vi può esser altro d'aggiongervi, se non qualche libro uscito ne' 2 anni seguenti, cosa che non merita l'opera della sinodo: ma chi volesse conceder de' proibiti in quella raccolta, sarebbe un dicchiarar che in Roma sia stato imprudentemente operato, e cosí levare la riputazione et all'Indice già publicato et a quel decreto che si facesse, essendo vulgata massima che le nuove leggi levano la stima piú a se stesse che alle vecchie; senza che (diceva il Becatelli) nissun bisogno vi è de libri: pur troppo il mondo ne ha, massime dopo trovate le stampe, e meglio è che mille libri siano proibiti senza demerito, che permesso uno, meritevole di proibizione.
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