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      Doversi lodare et immitare il zelo e l'opera de' padri del concilio primo, che con le pene abbiano incitato i prelati a star alle chiese proprie e dato principio a levar quei impedimenti che gl'allontanavano, ma non doversi ingannar con la speranza che questa residenza sia la riforma della Chiesa, anzi dover star con timore che, sí come adesso si cercano rimedii per la residenza, cosí la posterità, avendo visto altri inconvenienti che da quella nasceranno, cercherà rimedii della assenza. Non doversi cercar legami tanto forti che al bisogno non si possino sciogliere, come sarebbe quel ius divinum che adesso, dopo 1400 anni, si vuol introdurre; dove un vescovo sarà pernizioso, come s'è veduto il coloniense, con questa dottrina vorrà difendersi di non ubedir al papa, se lo citerà a dar conto delle sue azzioni o se lo vorrà tener lontano, acciò non fomenti il male. Aggionse vedere che li prelati che sentono l'articolo abbiano buon zelo, ma creder anco che alcuni potrebbono servirsene a fine di sottrarsi dall'ubedienza del pontefice, la quale quanto è piú stretta, tanto tiene piú unita la Chiesa; ma a questi voler raccordare che quanto operano a quell'effetto, riuscirà anco a favore de' parochi per sottrarsi dalla ubedienza de' vescovi. Perché, decchiarato l'articolo, essi se ne valeranno a dire che il vescovo non gli può levar dalla Chiesa, né restringergli l'autorità con le riservazioni, e come immediati pastori da Dio dati pretenderanno che il gregge sia piú loro che del vescovo, et a questo non ci sarà risposta.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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