La corte, cosí per immitazione del suo prencipe, come per trattarsi degl'interessi suoi, continuava le querele e mormorii contra i prelati del concilio e piú di tutti contra il medesimo cardinale e contra Seripando e varmiense; scambievolmente i prelati in Trento, gli spagnuoli massime, ne' congressi privati tra loro si querelavano del pontefice e della corte: di quello, perché tenesse il concilio in servitú, al quale doverebbe lasciare l'intiera disposizione di trattar e determinar tutte le cose senza ingerirsene; e nondimeno, oltre che niente si propone se non quanto piace a' legati, quali non fanno se non quello che è commandato da Roma, ancora, quando alcuna cosa è proposta e vi è un numero di settanta vescovi conformi, nondimeno sono impediti sino dal poter parlare; che il concilio doverebbe esser libero et essente da ogni prevenzione, concorrenza et intercessione di qualonque altra potestà, e nondimeno gli vengono date le leggi di quello che debbe trattare, et alle cose trattate e decretate vien fatta limitazione e correzzione; il che stando, non si può veder come chiamarlo veramente concilio. Che in quello erano piú di 40 stipendiati dal pontefice, chi di 30 e chi sino di 60 scudi al mese; che altri erano intimiditi per lettere de cardinali et altri curiali. Della corte si lamentavano che, non potendo ella comportare la riforma, si facesse lecito di calumniare e riprendere e sindicare quello che era fatto per servizio di Dio. Che avendo veduto come s'era proceduto contra una riforma necessaria e leggiera, non si poteva aspettar se non grave moto e contradizzione quando si trattasse cosa toccante piú al vivo; che doverebbe il pontefice almeno rafrenare le parole de' passionati e mostrar in apparenza, poiché in fatto non voleva esser ligato, che il concilio procedi con sincerità e libertà.
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