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      Data fuori la formula, l'arcivescovo di Lanciano fu di parere che si publicassero gl'anatematismi soli e si tralasciassero a fatto li capi di dottrina: allegava l'essempio degl'altri concilii, ne' quali si vede da pochissimi usata, e che questo istesso concilio tridentino, nelle materie del peccato originale la tralasciò, et in quella de' sacramenti e del battesmo; diceva esser cosa da dottori il render conto de' pareri suoi con raggioni: a' giudici esser conseglio ottimo il far le sue sentenzie assolute, e li vescovi in concilio esser giudici; se la sentenzia contiene la raggione, si può impugnare non solo per il decreto, ma per la raggione ancora; che non allegandone alcuna ogni uno penserà che la sinodo si sia mossa da potentissime et ogni uno crederà che sia indotta da quelle raggioni; che egli maggiormente stimerà che, quando s'avessero ragioni anco sopra le evidentissime, non è sicuro usarle; che gl'eretici s'attaccheranno alle raggioni, che ne faranno poca stima e piú che si dirà, si darà piú materia di contradire. Aggiongeva anco che le congionture ricercavano presta espedizione del concilio et accennò, ma con parole che furono intese da' legati e dagl'amorevoli del pontefice, che si sarebbe per questa via sodisfatto al suo desiderio. Da Ottaviano Preconio, arcivescovo di Palermo, che lo seguiva in ordine, fu in contrario parlato: che l'uso de' concilii fu sempre di far il proprio simbolo, al qual corrisponde la dottrina, e soggionger gl'anatematismi; che avendo servato cosí il concilio sotto Giulio e questa sinodo nella sessione passata, si direbbe che non si continuava per difetto di raggioni; soggionse che è una viltà il voler fuggir la disputa degl'eretici, anzi, che la loro contradizzione farà lucer la dottrina del concilio, che non si debbe curar di finirlo presto, ma di finirlo bene.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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