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      Concluse che era il piú sicuro modo dire solamente che Cristo commandò agl'apostoli che offerissero sacrificio propiziatorio nella messa. Poi, obliquamente, toccò il Salmerone, dicendo che, se nelle cose della riforma si fa qualche prattiche, si può tolerare, versando circa cose umane; ma dove si tratta di fede, il voler caminar per fazzione non è introduzzione buona. Il parlar del vescovo mosse tanti, che fu openione quasi commune che di sacrificio propiziatorio da Cristo offerto nella cena non si parlasse; nel resto l'openione sua fu, come per inanzi, abbracciata da una sola parte.
      Quello istesso giorno l'arcivescovo di Praga, tornato dall'imperatore pochi giorni prima, presentò lettere di quella Maestà a' legati, et arrivarono anco lettere del noncio Delfino, residente appresso la Maestà istessa, ricercando Cesare, e per le lettere e piú esplicatamente per l'ufficio del noncio, che non si trattasse del sacrificio della messa inanzi la dieta e ricchiedendo che nella prima sessione s'ispedisse l'articolo della communione del calice; presentò anco l'arcivescovo per nome dell'imperatore una formula di riforma. Ma era troppo urgente il commandamento del pontefice che si venisse a presta ispedizione, che non concedeva che si potesse sodisfar l'imperatore nella prima dimanda; ben constringeva sodisfarlo in parte ad ispedir la materia del calice; et il pontefice, al quale l'imperatore aveva fatto le stesse instanze, scrisse il medesimo a Trento; però nella seguente congregazione Mantova propose che, conclusa la dottrina del sacrificio, si parlerebbe della communione del calice; e seguendo li prelati a dir li voti, fu raccordato che la difficoltà se Cristo si offerí, non è stata proposta a' teologi da disputare, se ben essi ne hanno parlato accidentalmente, però sarebbe ben proporla e farla disputare professatamente, overo tralasciarla.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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