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      Fece anco instanza a' legati che non dovessero far fondamento sopra quelli che da principio avevano parlato di rimetter al papa, avendo parlato confusamente, e che si dovesse far una scielta de' voti, come in altre occasioni s'era fatto, con far risponder ciascuno per il sí o per il no, e tralasciar li modi arteficiosi che alcuni erano stati constretti ad usare per dar sodisfazzione. Fu seguito da fra Giovan de Munnatones, vescovo di Segorve, il qual disse che prima era stato d'opinione che la grazia non fosse negata, ma udito il vescovo di Riete era necessitato, per carico di conscienza, di mutarsi e mettersi per la parte negativa, che il concilio era in questa causa giudice, al quale conveniva aver gran risguardo che, condescendendo improvidamente alla Maestà cesarea, non si facesse pregiudicio agl'altri prencipi. Fra Marco Laureo, vescovo di Campagna, disse che l'imperatore non dimandava di cuore questa concessione, ma che bastava a Sua Maestà far questa mostra per acquistar li suoi popoli e però sarebbe stato ben dargli conto delle difficoltà, acciò Sua Maestà potesse giustificarsi con loro.
      Pietro Danesio, vescovo di Livaur, non definí se fosse o non fosse da conceder il calice, ma tutto si consumò contra l'opinione di rimetter al papa. Disse in sostanza che forse il pontefice ne resterebbe offeso, perché, essendo prima stato ricercato lui e, per non poter saper o non voler risolversi, avendo inviato le ricchieste al concilio, era manifesto indicio che non gli piacerebbe vedersi riposto nelle medesime ambiguità, et il concilio, che è un gran numero di persone, poter piú facilmente sostenere la carga delle importunità di chi non sodisfatto si dolerà e ricercherà rimedio, che non il pontefice, sola persona, al quale per conservazione della degnità conviene tener conto di molti rispetti.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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