Dal vescovo d'Imola, per medicar il proprio eccesso, fu ripreso di dar autorità a quel concilio scismatico e notato di grand'ardire che, essendo tante volte stati ripresi quelli che semplicemente allegarono il basileense, egli allora non solo l'adducesse, ma gli dasse anco l'autorità di concilio generale. Replicò il padre che sempre s'era maravigliato, et allora maggiormente, di chi parlava cosí di quel concilio, atteso che nella prossima passata sessione li 4 capi decretati nella materia del calice erano di peso pigliati da quel concilio; non saper in che modo si possi maggiormente approvare un decreto quanto rinovarlo, non tanto nel senso, ma nelle parole ancora. E con questo riscaldatosi, passò a dire che, atteso il decreto di quel concilio, la petizione del calice sapeva eresia e peccato mortale; di che levatosi susurro e volendo egli seguir piú oltre, il cardinale di Mantova lo fece tacer; et egli fermato chiese perdono e, dette alcune altre poche parole, finí.
Per non parlar piú di questo padre, aggiongerò qui che egli era in nota per essersi scoperto che il dí 16 agosto fosse stato per tempo alla casa degl'ambasciatori francesi a dimandar se i loro vescovi sarebbono venuti et ad essortare che si sollecitassero a venir presto; e nelle congregazioni che si fecero sopra il sacrificio pose in dubio se l'autorità del pontefice fosse superior al concilio, soggiongendo che quando si fosse venuto a trattar di questo, egli averebbe detto il voto suo liberamente. Le qual cose poste tutt'insieme e da' legati opportunamente ponderate, fu giudicato non esser ben che un tal umore si trovasse alla venuta de' francesi, e pensarono di far che il general suo lo chiamasse per negozii della congregazione e con questa onestà levarlo da Trento: ma non fu bisogno, perché il povero padre, per afflizzione d'anima, pochi dí dopo s'infermò et a' 26 novembre passò di questa vita.
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