Il vescovo di Sigonia disse che si faceva a guisa del medico imperito, che ne' mali mortali dà un lenitivo overo onge d'oglio. Il vescovo di Oreate disse che Sua Santità non doveva conceder tanta facoltà alla cruciata et alla fabrica di San Pietro, in virtú de' quali ogni uno in Spagna vuol messe in casa, e non moderando quella, le provisioni della sinodo saranno vane; esser necessario fare una dicchiarazione che li decreti del concilio generale obligano anco il capo; a che, essendosi levato sussurro, egli, fatto segno di silenzio, soggionse: "Quanto alla virtú direttiva, non coattiva"; e seguí dicendo che era necessario anco trovar via che non vi fossero liti, o almeno non fossero tante e cosí longhe nelle cause beneficiali, che ciò riusciva di gran dispendio, mancamento del culto di Dio e scandalo del popolo. Il Cinquechiese parlò sopra il capo di conferir li vescovati, esponendo le parole da lui dette, che si promovevano persone vili et indegne, dicchiarando che l'abuso procedeva da' prencipi, che gli raccommandavano con instanza et anco con importunità al papa, e che meglio sarebbono collocati ne' palafrenieri di Sua Santità, e si dolse che le sue parole fossero sinistramente interpretate.
L'agente spagnuolo, per nome del re, si gravò di tanta autorità che a' vescovi si concedeva nel capo ottavo sopra gl'ospitali, monti di pietà, luoghi pii ecc., particolarmente per il regno di Sicilia, contra il privilegio che quel regno ha della monarchia anticamente: al quale per sodisfare, da' legati fu aggionta al capitolo la clausula che riserva li luoghi che sono immediate sotto la protezzione del re.
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