Al decreto recitato fu da' padri assentito, eccetto che al particolar che Cristo offerisce se medesimo: 23 vescovi contradissero et alcuni altri dissero che, quantonque l'avessero per vero, nondimeno riputavano che non fosse luogo né tempo di decretarlo, e li voti furono detti con qualche confusione per i molti che ad un tratto parlavano. Diede principio a dissentire l'arcivescovo di Granata, il quale, non avendo prestato il suo assenso nelle congregazioni, per non aver occasione di far il medesimo nella sessione, aveva deliberato non intervenirvi. Ma li legati, non vedendolo alla messa, lo mandarono a chiamare piú d'una volta e lo constrinsero ad andare e gl'eccitarono con ciò maggiormente la volontà di contradire.
Immediate dopo dal medesimo celebrante fu letto un altro decreto per instruzzione a' vescovi degl'abusi da correggere nella celebrazione delle messe. Et in sostanza conteneva: che li vescovi debbino proibire tutte le cose introdotte per avarizia, per irreverenza o per superstizione; condescese a nominar particolarmente per defetti d'avarizia li patti di mercede, quello che si dà per messe nuove, l'essazzioni importune d'elemosine; per irreverenza, l'ammetter a dir messe i sacerdoti vagabondi et incogniti e peccatori publici e notorii, il celebrar in case private et in ogni altro luogo fuori di chiesa et oratorii, e se gli intervenienti non sono in abito onesto, l'uso delle musiche nelle chiese con mistura di canto o suono lascivo, tutte le azzioni secolari, colloquii profani, strepiti, gridori; per quel che tocca la superstizione, il celebrar fuori delle ore debite, con altre ceremonie e preci oltre le approvate dalla Chiesa e ricevute dall'uso, un determinato numero di alcune messe o di tante candele.
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