Aveva già per isperienza veduto che la concessione di Paolo III non fu ricevuta in bene e fece piú danno che beneficio, e per questa causa non proseguí l'instanza sua piú oltre col pontefice. E se ne dicchiarò; perché quando ricevette la nuova del decreto conciliare, voltatosi ad alquanti prelati che presenti si ritrovavano, disse: "Io ho fatto tutto quello che poteva per salvar i miei popoli, ora abbiatene cura voi, a chi piú tocca".
Ma quei popoli, che desideravano et aspettavano la grazia o, come essi dicevano, la restituzione di quello che gli era debito, restarono tutti con nausea che, essendosi prima trattato per 6 mesi sopra una ricchiesta giusta, presentata con intercessioni di tanti e cosí gran prencipi, e dopo, per farci maggior essamine, differito doi altri mesi e disputato e discusso di nuovo con tanta contenzione, in fine si rimettesse al papa; cosa che si poteva, senza perder tanto tempo, tanti ufficii e fatiche, rimetter al bel principio. Esser la condizione de' cristiani secondo la profezia d'Isaia: "Manda, remanda, aspetta, reaspetta"; poiché il papa, ricchiesto prima, rimesse al concilio quello che allora il concilio rimetteva a lui, beffandosi ambidoi e de' prencipi e de' popoli. Alcuni piú sodamente discorrevano che la sinodo aveva riservato doi articoli a definire: se le cause che già mossero a levar il calice siano tali che convenga perseverare in quella proibizione, e se non, con che condizioni si debbia conceder. Il primo de' quali essendo non di fatto, ma indubitatamente di fede, per necessaria consequenza, rimettendo al papa la concessione, era costretto il concilio confessare d'aver conosciuto le cause per insufficienti, e per rispetti mondani non averne voluto far decchiarazione; imperoché, se le avesse giudicate sufficienti, conveniva perseverare nella proibizione; se rimaneva dubio, doveva proseguire l'essamine; solo poteva rimettere conosciuta l'insufficienza.
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Paolo III Isaia
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