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      In quelle de' seguenti furono parimente varie le opinioni; di singolar vi fu che l'arcivescovo di Braga fece instanza per la medesima aggionta, dicendo che non si poteva tralasciare, e si allargò a provar l'instituzione de' vescovi de iure divino, portando raggioni et argomenti poco differenti da Granata, e passò a dire che il papa non può levar a' vescovi l'autorità datagli nella loro consecrazione; la qual contiene in sé non solo la potestà dell'ordine, ma della giurisdizzione ancora, perché in quella gl'è assegnata la plebe da pascere e reggere, e senza quella non è valida l'ordinazione; di che n'è manifesto indicio che a' vescovi titolari e portativi, si assegna tuttavia una città, che quando potesse star l'ordine episcopale senza giurisdizzione, non sarebbe necessario. Oltre di ciò, nel dargli il pastorale, si usa la forma di dire che è un segno della potestà che se gli dà di corregger li vizii. Quel che piú importa, se gli dà l'anello, dicendo che con quello sposa la Chiesa, e nel dar il libro dell'Evangelio, con che s'imprime il carattere episcopale, si dice che vadi a predicar al popolo commessogli, et in fine della consecrazione si dice quell'orazione: Deus omnium fidelium pastor et rector, che poi è stata ne' messali appropriata al pontefice romano, con voltarsi a Dio e dire che egli ha voluto che quel vescovo presedesse alla Chiesa. Gionto che Innocenzo III disse esser il matrimonio spirituale del vescovo con la sua Chiesa un legame instituito da Dio et insolubile per potestà umana, e che il pontefice romano non può trasferir un vescovo, se non perché ha special autorità da Dio di farlo; le quali cose tutte sarebbono molto assorde, se l'instituzione de' vescovi non fosse de iure divino.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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