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      onveniente, ma consequenza molto chiara e necessaria; anzi, se ciascuno de' vescovi in concilio può fallare, non si poteva negar che non potessero fallar anco tutti insieme, e se l'autorità del concilio venisse dall'autorità de vescovi, mai si potrebbe chiamar generale un concilio dove il numero de' presenti è incomparabilmente minore che degl'assenti. Raccordò che in quel concilio medesimo, sotto Paolo III, furono definiti principalissimi articoli, de' libri canonici, delle interpretazioni, della parità delle tradizioni alla Scrittura in un numero di 50 e meno; che se la moltitudine dasse autorità, tutto caderebbe. Ma sí come un numero de prelati dal pontefice congregati per far concilio generale, sia quanto picciolo si vuole, non d'altronde ha il nome e l'efficacia d'esser generale, se non perché il papa gliela dà, cosí anco non ha d'altrove l'autorità; e però, se statuisce precetti o anatemi, quelli non operano niente, se non in virtú della futura confermazione del pontefice, né il concilio può astringere con gl'anatemi suoi, se non quanto averanno forza dalla confermazione. E quando la sinodo dice d'esser congregata in Spirito Santo, altro non vuol dire se non che li padri siano congregati secondo l'intimazione del pontefice per trattar quello che, venendo approbato dal pontefice, sarà decretato dallo Spirito Santo. Altrimenti non si potrebbe dir che un decreto fosse fatto dallo Spirito Santo e potesse per autorità ponteficia esser invalidato o avesse bisogno di maggior confermazione.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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