Altri ancora fecero instanza che fusse dicchiarata de iure divino, et una quarta opinione fu anco che, quantonque sia de iure divino, non è ispediente farne dicchiarazione.
Congregò il cardinale di Lorena li teologi francesi per disputare sopra questo punto; li quali tutti uniformi conclusero che fosse de iure divino. Et il vescovo d'Angiò fu il primo tra li francesi a dir il parer suo in quella sentenza, e cosí fu seguito dagl'altri. Ma nelle congregazioni generali della sinodo usavano li prelati indicibile longhezza di che si doleva il cardinale di Lorena co' legati, mostrando desiderar che quelle materie se spedissero per venir alla riforma, replicando le tante volte usate parole, che se non averanno sodisfazzione in Trento, la faranno in casa loro.
Fra Alberto Duimio, vescovo di Veglia, allegando che la materia della residenza fu discussa nel concilio sotto Paolo III e rimessa ad altro tempo la decisione, aggionse che però sarebbe necessario veder le raggioni allora dette da' prelati. Al presente avevano detto il suo parer senza allegar raggioni, ma egli non giudicava dover far l'istesso, come pretendendo per autorità e numero d'opinioni, e non per raggione. E poi si diede a recitar tutte le raggioni per prova che sia de iure divino, et a risolver le contrarie. Fece gran riflesso sopra il detto di Cristo, che il buon pastore va inanzi il gregge, chiama ogni pecorella per nome, scorre per il deserto a cercarne una perduta e mette la vita per loro. Mostrò che questo intendeva di tutti quelli che Cristo ha instituito pastori, che sono tutti quelli che hanno cura d'anime, li vescovi massime, come san Paolo disse e scrisse agl'efesi.
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