Il cardinale di Lorena si doleva con tutti che si cercasse di sciogliere la sinodo e ne fece querele con tutti gl'ambasciatori de' prencipi, pregandogli di scriver a' loro patroni et operare che facessero ufficio col pontefice che il concilio proseguisse, che le prattiche fossero moderate e li padri lasciati in libertà: altrimenti in Francia si sarebbe fatto accordo che ogni uno vivi a modo suo sino ad un concilio libero, che questo non è tale, non potendosi né trattare, né risolvere, se non quello che a' legati piace, e li legati non fanno se non quello che il papa vuol; che egli averebbe con pazienza sopportato sino alla futura sessione, e non vedendo le cose andar meglio, farebbe li suoi protesti, e con gl'ambasciatori e prelati tornerebbe in Francia per fare un concilio nazionale, dove forse la Germania concorrerebbe; cosa che a lui sarebbe di gran dispiacere, per il pericolo che la Sede apostolica non fosse poi riconosciuta.
Andarono in quei giorni da Trento a Roma e da Roma a Trento frequenti corrieri, avisando li legati le frequenti contradizzioni che piovevano e sollecitando il pontefice la proposta de' canoni mandati. E li francesi in Roma fecero col papa la medesima querela che faceva Lorena in Trento, con le stesse minaccie di concilio nazionale e d'intervento d'alemanni. Ma il papa, solito sentirne spesso, disse che non si sgomentava di parole, non temeva concilii nazionali, sapeva li vescovi di Francia esser catolici e che la Germania non si sottometterebbe a' loro concilii.
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