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      Diceva che il concilio non solo era libero, ma si poteva dir quasi licenzioso; che le prattiche fatte dagl'italiani in Trento non erano con sua participazione, ma nascevano perché li oltramontani volevano conculcar l'autorità ponteficia; che egli aveva avuto tre buone occasioni di discioglier il concilio, ma voleva che si continuasse, e sperava che Dio non abandonerebbe la sua Chiesa, et ogni tentativo contra quella promosso tornerebbe in capo degl'innovatori. In queste confusioni essendo partito il Cinquechiese per andar alla corte cesarea, per dar conto a quella Maestà delle cose del concilio e fargli relazione dell'unione de' prelati italiani, et essendosi scoperto che Granata e li suoi aderenti gl'avevano dato carico d'operare coll'imperatore che scrivesse al re Catolico sopra la riforma e residenza, acciò che essi potessero in quelle e nelle altre occasioni dir liberamente quello che dettasse loro la conscienza, credettero li legati che fosse conseglio di Lorena; e per dar qualche ripiego, pochi giorni dopo essi ancora spedirono all'imperatore il vescovo Commendone, con pretesto d'iscusare e render le cause perché non s'erano per ancora potute proporre le dimande di Sua Maestà, e gli diedero commissione d'essortar Cesare a contentarsi di ricercar dal pontefice, e non dal concilio, quei capi concernenti l'autorità ponteficia posti nelle sue petizioni, e con altri avvertimenti et instruzzioni che loro parvero opportune.
      Ma essendo gionto a Trento Martino Cramero, vescovo di Varmia, ambasciatore del re di Polonia all'imperatore, in apparenza per visitare il cardinal varmiense, antico et intrinseco suo amico, ebbero gran sospizzione che fosse mandato da Cesare per informarsi e veder occultamente le cose del concilio e rifferirgliele.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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