Ma li francesi, quanto agl'articoli, si mostrarono nuovi e di non saperne niente; dissero che nissuno de' teologi germani aveva trattato col cardinale se non il Staffilo, che gli presentò un libro fatto da lui in materia di residenza, et il Canisio, quando andò a veder il collegio de giesuiti; che li teologi non avevano parlato all'imperatore, se non che, andati a veder la biblioteca, sopragionsero insieme Cesare col re suo figlio, e l'imperatore dimandò loro quello che sentissero circa la concessione del calice; a cui rispose l'abbate di Chiaraval, primo di loro, che non sentiva potersi concedere, e l'imperatore, voltato al re de' Romani, disse in latino quel verso del salmo: "40 anni ho trattato con questa generazione, e gli ho sempre trovati star in errore per volontà".
Ma Lorena, nel visitar li legati, non disse altro, salvo che mostrò l'imperatore aver buona mente e caldo zelo verso le cose del concilio e desiderare che segua qualche frutto, e che, bisognando, v'interveniria in persona et anderebbe anco a Roma a pregar il papa che avesse compassione alla cristianità e si contentasse della riforma senza diminuzione della sua autorità, alla quale portava somma riverenzia, non volendo che si parlasse cosa alcuna toccante la Santità Sua e la corte romana. Ma privatamente, ad altri parlando, il Lorena aggiongeva che, quando il concilio fosse stato governato con quella prudenza che conveniva, averebbe avuto presto e felice successo; che l'imperatore era d'animo che onninamente si facesse una buona e galiarda riforma, la quale se il papa seguirà d'attraversare, come sin allora era avvenuto, riuscirà qualche gravissimo scandalo; che Sua Maestà aveva pensiero, se il pontefice fosse andato a Bologna, d'andar a trovarlo, con dissegno di ricever la corona dell'Imperio, et altre cose tali.
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