Risposero li legati dispiacer loro l'andar delle cose in longo, ma di questo esserne causa gl'accidenti sopravenuti della morte di Mantova e Seripando. Che essi soli non possono portar tanto peso; che gli pregavano d'aspettar Morone e Navaggero, che presto arriveranno. Alla qual risposta s'acquietarono, perché anco gl'ambasciatori imperiali fecero instanza che si andasse lentamente, aspettando la negoziazione degl'ambasciatori cesarei in Roma, congionti con Luigi d'Avila, li quali tutt'insieme avevano fatto instanza al pontefice che in concilio, e non a Roma, si facesse un'universal riforma di tutta la Chiesa nel capo e nelle membra, e per la rivocazione del decreto che li soli legati potessero proponer in concilio, come contrario alla libertà degl'ambasciatori e de' prelati di poter ricercar quello che giudicassero utile, questi per le sue chiese e quelli per li suoi stati. La qual instanza l'imperatore giudicò meglio che fosse prima fatta al papa e poi in concilio.
Non però questi prencipi erano in tutto concordi; imperoché, se ben don Luigi a parte fece le medesime dimande, nondimeno appresso di ciò ricercò il pontefice che persuadesse l'imperatore a rimoversi dalla dimanda del calice e matrimonio de' preti, dicendo ch'il re aveva dato commissione al suo ambasciatore che anderrebbe a Trento di far ufficio che se ne parlasse e che i prelati spagnuoli se vi opponessero. Essortò il pontefice a procurar d'acquistar gl'eretici con dolcezza, non mandando noncii, ma usando il mezo dell'imperatore e d'altri prencipi d'autorità, et ad accettar le dimande de' francesi, e lasciar libero il concilio, sí che tutti possino proporre, e che nel risolver non si faciano prattiche.
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