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      Che della buona volontà di Sua Maestà non dubitava, ma tutto 'l male nasceva perché, né in Roma, né al concilio, aveva mandato ambasciatori confidenti; che era giusto lasciar il concilio in libertà et egli piú di tutti cosí desiderava, non piacendogli però la licenzia, né meno che fosse in servitú di quei prencipi che predicavano la libertà, volendo essi commandare. Che da ogni uno gl'era fatta instanza di libertà nel concilio et egli non sapeva se tutti questi avessero ben pensato che importanza sarebbe quando a' prelati fosse lasciata la briglia sopra il collo. Che quantonque in quel numero vi fossero alcune persone eccellenti in bontà et in prudenza, vi erano nondimeno anco di quelli che mancavano o [dell'una o] dell'altra o d'ambedue insieme; li quali tutti erano pericolosi, quando non fossero tenuti in regola. Che a lui importava forse manco di tutti il pensarci: perché avendo il fondamento dell'autorità sua sopra le promesse di Dio, in quelle confidava; ma maggior bisogno avevano li prencipi d'avvertirci per li pregiudicii che ne potrebbono seguire, e che quando li prelati fossero posti in quella soverchia libertà, ne rincreserebbe forse molto a Sua Maestà catolica. Che quanto alla riforma, gl'impedimenti non venivano da lui, che egli sarebbe andato differendo le dimande de' prencipi sopra la communione del calice et altre tal novità, come Sua Maestà desiderava; ma che ella considerasse che, sí come la mente di Sua Maestà non è conforme a quella degl'altri ne' particolari del calice e matrimonio de' preti, cosí in ogni altra vi è chi fa instanza e chi s'oppone a quelli di lei.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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