E mostrando il cardinale desiderio di veder quello che gl'era scritto, il vescovo, facendo dimostrazione di proceder con lui liberamente, gli mostrò le lettere del cardinale Borromeo et una poliza di Tolomeo Gallo, secretario del pontefice.
Il cardinale, letto il tutto, rispose che, quando fosse tornato a Trento, averebbe avuto maggior lume dell'animo dell'imperatore e di quello che il pontefice avesse risposto a Sua Maestà, onde potrebbe poi pigliar partito e non mancherebbe d'adoperarsi, se fosse bisogno. A che replicando il vescovo che la mente del pontefice la poteva chiaramente intendere per le lettere mostrategli, né occorreva aspettarne chiarezza maggiore, il cardinale entrò in altri raggionamenti, né mai il vescovo, col ritornar nel medesimo, poté cavar altro in sostanza che l'istessa risposta: ben gli disse che egli aveva parlato dell'andata a Bologna, per l'intenzione che il papa dava all'imperatore della riforma; ma dopoi che in tanto tempo s'era visto che, se ben Sua Santità promette cose assai e piú di quello che si ricerca, in concilio però niente s'esseguisce, l'imperatore e gl'altri prencipi credono che Sua Santità veramente non abbia avuto animo di riforma; la qual se avesse avuto, non averiano i legati mancato d'esseguir la volontà sua. Disse che l'imperator non era sodisfatto, perché avendo Sua Santità mostrato animo al genaro di voler andar a Bologna, s'era in un subito rafreddato, e che quando Sua Maestà ha detto di voler intervenir in concilio, Sua Santità ha fatto ogn'opera per retirarlo da tal pensiero; et usando delle sue solite varietà di parlar, disse anco che l'imperatore non si risolveria d'andar a Bologna per non dispiacere a' prencipi, quali potriano dubitare che quando fosse là Sua Santità volesse governar le cose a modo suo e terminar il concilio come gli piacesse, senza far la riforma.
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