Narrò d'aver avuto aviso dell'instanza fatta da don Luigi d'Avila a nome del re Catolico, mostrando piacer di quell'aviso et estendendosi a' particolari, aggionse esser necessario che si facesse dall'alfa sino all'omega e che saria ben che si levassero di concilio sino a 50 vescovi che si oppongono sempre a tutte le buone risoluzioni. Disse ancora che per il passato egli pensava esser piú abusi in Francia che in altri luoghi, ma aver conosciuto dopoi ch'anco in Italia v'era da far assai. Percioché si vedono le chiese in mano de' cardinali, che non avendo altra mira se non di tirar entrate, le lasciano abandonate, dando la cura ad un povero prete; donde nascono le rovine delle chiese, simonie et altri infiniti disordini; al rimedio de' quali li prencipi e loro ministri erano andati ritenuti, sperando che pur una volta si facesse la desiderata riforma. Che esso ancora era proceduto con rispetto, ma vedendo oramai esser tempo d'operar liberamente per servizio di Dio, non voleva aggravar piú la sua conscienza, ma nel primo voto che dicesse era risoluto di parlar di questo; che la casa sua per la conservazione della religione e servizio di Dio aveva tanto patito quanto ognun sa, con la perdita di duoi fratelli; che egli era per perdersi nella medesima opera, se ben non come loro nelle armi; che Sua Santità non doveva dar orecchie a chi cercava di rimoverla dalla sua santa intenzione, ma di risolversi d'acquistar questo merito appresso Dio, con levar gl'abusi della Chiesa. Disse ancora che, venendo li nuovi legati ben informati della mente del pontefice, di qui si conoscerà l'animo suo intorno la riforma et essi non averanno piú scusa di ritardarla.
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