Ma la necessità dell'obedienza aveva vinto il timore; era gionto cosí commandato per andar alla Maestà cesarea e tornar in breve per trattar in compagnia degl'altri legati co' padri quello che tocca la salute de' popoli, lo splendore della Chiesa e la gloria di Cristo; che portava seco due cose: un'ottima volontà del pontefice per render sicura la dottrina della fede, emmendar li costumi, proveder a bisogni delle provincie e stabilir la pace et unione, eziandio con gl'avversarii, in quanto si può, salva la pietà e degnità della Sede apostolica; l'altra, la prontezza sua propria a far quello che Sua Santità gli ha commandato. Pregava li padri che, lasciate le contenzioni e le discordie, che grandemente offendono il cristianesmo, e le questioni inutili, trattassero seriamente delle cose necessarie.
Il conte di Luna andò facendo ufficii con tutti li prelati vassalli del suo re, spagnuoli et italiani, o beneficiati ne' stati suoi, con essortargli in nome di Sua Maestà ad esser uniti nel servizio di Dio e riverenti verso la Sede apostolica, et a non ingiuriarsi; dicendogli che tien commissione d'avisar particolarmente il proceder di ciascuno e che Sua Maestà tenerà particolar conto di quelli che si porteranno secondo il suo desiderio; il qual non è però che dichino cosa alcuna contra la loro conscienza. E parlava in tal maniera, che intendeva ogni uno queste ultime parole esser dette seriamente, ma le prime per ceremonia.
[Morone va a Cesare per piegarlo alle voglie del papa]
Averebbe voluto il cardinal Morone inanzi la partita sua per andar all'imperatore veder Lorena, e questo differiva il suo ritorno per non aver occasione d'abboccarsi; imperoché, avendo egli parlato in Venezia col cardinal Navaggiero e penetrato buona parte delle instruzzioni date dal pontefice, voleva fuggir l'occasione che Morone, con communicargli o tutto o parte di quello che aveva a trattar coll'imperatore, lo mettesse in qualche obligo.
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