Che in materia di riforma ogni ordine di persona vuole conservarsi nello stato presente e riformar gl'altri; onde viene che ogni uno dimanda riforma et a qualonque articolo proposto per quella causa, maggior numero se gl'oppone, che lo favorisca, ché ciascun pensa a sé solamente e non attende li rispetti altrui. Ma il papa, dove ogn'uno fa capo, ogni uno lo vorrebbe ministro de' dissegni proprii, senza pensare se alcun altro sia per restar offeso. Al quale però non è né onesto, né utile favorir uno con diservizio dell'altro. Che ogn'uno vuol la gloria di procurar riforma, e pur perseverar negl'abusi con carico del solo papa. Discorse anco il cardinale che, dove si tratta di riformar il papa, non voleva dire qual fosse l'animo di Sua Santità; ma in quello che a lui né tocca, né può toccare, con che raggione si può alcuno persuadere che egli non condescendesse, quando non conoscesse quello che ad altri non è noto, perché solo a lui son riferiti li rispetti di tutti? Espose ancora di piú, per isperienza esser stato veduto, nello spacio di 15 mesi dopo l'apertura del concilio, che sono moltiplicate le pretensioni et aummentati li dispareri, e caminato tuttavia al colmo; che quando continui longamente, per necessità seguirà qualche notabile scandalo: gli considerò la gelosia che occupava i prencipi di Germania e gl'ugonotti di Francia, e concluse che vedendosi chiaro il concilio non poter far frutto, era ispediente finirlo al meglior modo possibile.
Dicevasi che quei prencipi restarono persuasi di non poter ottener per mezo del concilio cosa buona e che conobbero esser meglio sepelirlo con onore, e che diedero parola al cardinale di passar per l'avvenire con connivenza e non ricever in male se il concilio sarà terminato.
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