Ma Lorena, sospicando che Morone avesse pensiero di scaricar alcuna cosa sopra di lui o di metterlo in qualche diffidenza co' spagnuoli, rispose che il peso di legato superava le sue forze, le quali non potevano far maggior cosa che dir il voto suo come arcivescovo; che lodava il zelo di Sua Santità nella riforma delle altre chiese, ma che si poteva ben contentare che i vescovi ancora dassero altritanti capi per li cardinali e per il rimanente della corte; che la Sede apostolica era degna d'ogni riverenza e rispetto, ma con quel manto non potersi coprir abusi. La risposta di questo cardinale fece risolver li legati d'andar ritenuti sino che le cose fossero meglio domesticate, ma tra tanto si fece stretta prattica co' prelati italiani, acciò non fosse ricevuto il decreto di dicchiarar la residenza.
Successe un accidente, che fu per confonder e divider tra loro li ponteficii. Andò a Trento aviso che s'averebbono fatti cardinali a' seguenti tempori, e fu anco mandata la poliza di quelli che erano in Roma; onde li pretendenti, che molti erano, restarono pieni di malissima satisfazzione e, come avviene agl'appassionati, non si contenevano tra li termini, sí che non uscisse qualche parola che dimostrasse l'affetto e l'animo parato al risentimento. In particolare erano notati Marc'Antonio Colonna, arcivescovo di Taranto, et Alessandro Sforza, vescovo di Parma, (quali per la potenza grande delle famiglie loro nella corte erano piú degl'altri inanzi), che avessero detto di voler intendersi con Lorena, il che dal cardinale Simoneta creduto, fu anco avisato a Roma; dalla qual cosa ambidoi si tennero offesi e parlavano con gran risentimento.
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