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      In materia della riforma trattarono col cardinale di Lorena, con gl'ambasciatori imperiali e di Spagna, se si contentavano che si proponesse anco della riforma de' prencipi; da' quali avuto parola che era cosa giusta levar gl'abusi dovunque fossero, fecero metter insieme tutti li capi, con pensiero di decider tutto quello che restava in una sola sessione. Ma all'ambasciatore spagnuolo, per li rispetti del suo re, quell'accelerazione non piaceva e comminciò ad attraversarvi molte difficoltà. Primieramente propose che era necessario, inanzi il fine del concilio, far opera che li protestanti vi intervenissero, allegando che vana sarebbe la fatica fatta, quando che li decreti non fossero da loro accettati, né essendoci speranza che, senza intervenir in concilio, gl'accettassero. A che avendo risposto li legati che il pontefice aveva dal canto suo in ciò fatto tutto quello che se gli conveniva, avendo scritto lettere e mandato anco noncii espressi a tutti, che niente di piú si poteva fare per render chiara la loro contumacia, replicò il conte di non ricchieder che ciò si facesse a nome di Sua Santità, essendo chiara cosa che averebbe servito non a fargli venir, anzi ad allontanargli maggiormente; ma che fossero ricercati a nome del concilio, con quelle promesse che fossero state convenienti, adoperando l'intercessione dell'imperatore. A che avendo per conclusione detto li legati d'averci sopra considerazione, ne diedero conto al pontefice, acciò potesse operare in Spagna, cosí per divertire simili raggionamenti, come per persuader il fine del concilio.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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