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      Ricercò anco il conte che li teologi parlassero publicamente, secondo il solito, sopra li particolari delle indulgenze et altre materie, e fece ufficio co' prelati che non si mutasse modo di proceder e non si levasse la riputazione al concilio con tralasciar d'essaminar quelle cose che piú delle altre ne avevano bisogno.
      Delle qual cose tutte il pontefice avisato, si perturbò assai, avendo avuto parola da don Luigi d'Avila e dal Vargas, ambasciator del re appresso sé, che quella Maestà si contentava che si venisse a fine del concilio. E fattigli chiamar a sé, fece gravissima indoglienza per la proposizione del conte. E prima, per conto d'invitar li protestanti, disse che nissun piú desiderava di ridurgli alla Chiesa che lui; esserne indicio quello che da' precessori suoi era stato per quaranta anni operato, e da lui, con mandar noncii espressamente a tutti loro, non risguardando le indegnità a che sottoponeva sé e la Sede apostolica; che aveva operato per l'interposizione dell'imperatore e gl'officii di tutti li prencipi catolici; esser certificato che l'indurazione loro è volontaria, deliberata et ostinata, e però doversi pensar non piú come ridurgli, essendo impossibile, ma come conservar gl'obedienti. Mentre che vi fu scintilla di speranza di racquistar li perduti, ricercava il tempo che si facesse ogni opera per raddolcirgli; estinta tutta la speranza, era necessario, per conservar li buoni, fermar bene la divisione e render le parti irreconciliabili l'una a l'altra. Che cosí comportavano li rispetti del loro re che si trattasse; il qual si sarebbe tardi accorto che cosí è necessario fare, quando avesse temporeggiato nella Fiandra et avesse usato termini di mediocrità. Risguardasse il re che buoni effetti erano nati dalle severe essecuzioni fatte nel suo ingresso in Spagna, dove, se avesse lentamente proceduto e pensato ad acquistar la grazia de' protestanti, per acquistar la loro benevolenza col dolce proceder, sentirebbe di quei accidenti che si vedono in Francia.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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