Ma nel settimo fu giudicato un parlar capzioso il condannar per eretico chi dirà la Chiesa aver fallato insegnando che per l'adulterio non si sciolga il matrimonio: perché dall'un canto, se alcun dicesse assolutamente che il matrimonio per quella causa si dissolvesse, senza dire né pensare che alcun abbia o non abbia errato insegnando il contrario, parerebbe che questo non fosse compreso, ma dall'altro canto non appare come alcun possa cosí sentire, senza aver il contrario, per errore; era creduto che bisognasse parlar chiaro e dir assolutamente che per l'adulterio non si dissolve, overo che ambedue le opinioni sono probabili e non far un articolo con verbo de verbo; ma questi forse non averebbono promosso la difficoltà, quando avessero saputo le cause narrate di sopra, perché si parlò in quella maniera.
Il nono canone diede da dire con quell'affermativa che Dio non nega il dono della castità a chi drittamente lo dimanda, parendo contrario all'Evangelio, che l'afferma non dato a tutti, et a san Paolo, che non essortò a dimandarlo, il che era piú facile che maritarsi.
Li politici restarono molto sospetti per il dodicesimo anatematismo, che sia eresia tenere che le cause matrimoniali non appartengono a giudici ecclesiastici, essendo certo che le leggi de' matrimonii tutte furono fatte dagl'imperatori e li giudicii in quelle cause amministrati da' magistrati secolari, sin tanto che le leggi romane ebbero vigore, il che la sola lettura de' codici teodosiano e giustiniano e delle Novelle lo dimostra evidentemente, e nelle formule di Cassiodoro restano memorie de' termini usati da' re goti nelle dispense de' gradi proibiti, che allora erano riputate appartener al governo civile e non cosí de religione, et a chi ha cognizione dell'istoria è cosa notissima che gl'ecclesiastici sono entrati a giudicar cause di quella natura, parte per commissione, e parte per negligenza de' prencipi e magistrati.
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