Ma nel primo ingresso del decreto della riforma del matrimonio molti restarono sospesi, intendendo a definire, come articolo di fede, che li matrimoni clandestini erano veri sacramenti e che la Chiesa gl'ha sempre detestati, essendo cosa molto contradittoria aver sacramenti detestabili. E l'aver commandato che il paroco interroghi li congiugati et inteso il loro consenso, dica: "Io vi congiongo in matrimonio in nome del Padre, Figlio, Spirito Santo", era deriso da' critici, con dire: "O senza queste parole sono congionti, o no; se no, adonque non è vero quello che il concilio fiorentino ha determinato: il matrimonio ricever la perfezzione dal consenso; se sí, che congionzione è quella che il paroco fa di persone già congionte? E se il "congiongo" fosse interpretato: decchiaro congionti, sí venirebbe ad aprir una porta per concluder che anco le parole dell'assoluzione siano declaratorie". Comonque questo fosse - dicevano - il decreto non esser fatto per altro se non per far fra poco tempo un articolo di fede che quelle parole dal paroco prononciate siano la forma del sacramento.
Della irritazione de' clandestini non fu meno che dire di quello che era stato nel medesimo concilio, lodando altri il decreto sino in cielo, e dicendo altri che, se quella sorte de matrimoni erano sacramenti, e per consequenza instituiti da Cristo, e la Chiesa in ogni tempo gl'ha detestati e finalmente gl'ha annullati, non si sapeva veder come questo fosse senza notar o d'inconvenienza, o almeno di negligenza quelli che da principio non vi providdero.
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