Intorno li digiuni e differenze de cibi et osservazione di feste, essorta li vescovi ad osservar li commandamenti della Chiesa romana, et intorno l'Indice, se ben quello era finito, non potendo la sinodo darne giudicio, ordina che tutto sia portato al papa e rimesso al giudicio suo; l'istesso facendosi del catechismo, messal e breviario. Publicò ancora un altro decreto che per li luoghi dissegnati agli oratori non s'intendi pregiudicato ad alcuno. In fine pregò li prencipi ad adoperarsi che li decreti del concilio non siano violati dagl'eretici, ma ricevuti et osservati da essi e da tutti; nel che, se nascerà difficoltà o bisogno di decchiarazione, il papa, chiamati quelli che giudicherà a proposito dai luoghi dove la difficoltà nascesse, overo congregando concilii generali o con altro modo provederà. Furono dopo recitati tutti li decreti fatti sotto Paolo e Giulio in quel concilio, cosí in materia di fede come di riforma. Per ultima cosa, il secretario andato in mezo, interrogò se piaceva a' padri che fosse posto fine a quella sinodo e, per nome di lei, da' legati e presidente dimandata al sommo pontefice Pio IV conferma di tutte le cose decretate sotto Paolo e Giulio e sotto la Santità Sua, e fu risposto, non ad uno ad uno per voti, ma da tutti insieme in una voce: "Placet". Il cardinal Morone, come primo presidente, concesse a ciascuno che s'era ritrovato in concilio et a tutti li presenti alla sessione indulgenza plenaria, e benedisse il concilio e licenziò tutti che, dopo aver reso grazie a Dio, andassero in pace.
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