Che egli averebbe potuto con una minima parola rimediar a questo, con far dire, come san Paolo disse, sollecitudine di tutte le chiese, che nissun averebbe negato quel modo di parlar che san Paolo usò; oltra che s'era fatto pregiudicio alla medesima openione della superiorità del concilio col vigesimoprimo capo dell'ultima sessione, salvando in tutti li decreti l'autorità della Sede apostolica, e con l'ultimo decreto di dimandar la conferma al papa. Se gl'opponeva anco che, avendo contrastato il re e tutta la Chiesa gallicana acciò quello fosse indizzione d'un nuovo concilio e non continuazione, nondimeno s'era decchiarata continuazione e tutt'un concilio con quello di Paolo e Giulio nel sudetto capo vigesimoprimo e nel decreto di relegger le cose statuite sotto quei pontefici, con che s'era ceduto vilmente a tutto quello che dal re era stato sostenuto 2 anni. Di piú dicevano che l'aver approvato le cose fatte sotto Giulio era con disonore e pregiudicio della protestazione fatta in quel tempo dal re Enrico II. Ma sopratutto riprendevano che, essendosi fatta sotto Paolo e Giulio sempre onorata menzione speciale del re Francesco I e del re Enrico II insieme con Carlo V, il cardinale non avesse operato che de' medesimi si facesse memoria nelle acclamazioni, quando si fece dell'istesso Carlo, e nominando l'imperatore vivente, secondo quegl'essempii non avesse fatto nominar il re di Francia. Le altre cose il cardinal scusava con dire di non aver potuto con 6 prelati che erano in compagnia sua solamente impedir il consenso di piú di 200. Ma di quest'ultima opposizione non si poteva scusare, se ben diceva che era per conservar la pace tra li 2 regni, essendogli replicato che poteva ben lasciar il carico di far l'intonazione ad altri e non esser egli l'autore di quel pregiudicio: e cosí si vede che spesse volte gl'uomini vani, dove credono acquistar riputazione a minuto, la perdono in grosso.
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