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      te essercitata con moderatione, non eccedendo mai li termini legitimi, che li Pontefici passati l'hanno approvata, & se alcuno d'essi havesse attentato qualche cosa à pregiudicio della potestà data alla Repub. da Dio, ciò non le nuoce, non havendo mai essa per tali rispetti lasciato di essercitare la sua autorità, & che il Senato tiene per fermo, attesa la purità della sua coscienza, che alle comminationi della Santità sua non resta luogo alcuno, anzi confida, che pigliarà in bene quello che dalla Rep. già & ultimamente è stato fatto in honor di Dio, per quiete publica & castigo de' delinquenti.
      Subito che il Pont. hebbe spedito la commissione al Noncio di presentar il breve, havendo udito che per Roma passava certa fama, che egli si fosse rimosso, o almeno rallentato dalle sue pretensioni, si travagliò gravissimamente, & per ovviarli & riacquistare la riputatione che li pareva haver perduta, risolse di parlar di nuovo in Consistoro per mostrar di persistere nelle istesse deliberationi, perilche li XX. Febraro congregati li Cardinali, recapitolate le cose dette l'altra volta, aggiunse ancò la pretensione della legge, che chiamava delle Emfiteosi, non permise però che alcuno delli Cardinali dicesse cosa alcuna, mà passò alle cose Consistoriali. Dopo nell'audienza dell'Ambasciatore si dolse, che si andasse per la lunga, & che tardasse tanto l'estraordinario, minacciando che egli l'abbreviarà. Non restò l'Ambr di dirli, che non differiva la Repub. li negotij, più tosto pareva che la Santità sua li prevenisse, imperoche ella nel Concistoro delli XII. Decembre, s'era doluta della Rep. sopra la legge del non edificar chiese, prima che havesse inteso ne per scrittura, ne in voce, qual fosse la mente del Senato in questo particolare, & anco in quest'ultimo Consistoro haveva pur fatto querele sopra la legge che si chiama dell'Emfiteosi, della quale non haveva scritto pur parola, ne ordinato a lui che ne scrivesse, ne fattone parlar al Noncio.


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Historia particolare delle cose passate tra il Sommo Pontefice Paolo V e la Serenissima Repubblica di Venezia
di Paolo Sarpi
pagine 236

   





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