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      All'astrologo di quei tempi, che nella posizione degli astri cercava di leggere l'avvenire, poco importava che queste posizioni fossero dedotte dall'osservazione diretta, o da calcoli di qualsiasi specie. Simili effemeridi annuali si hanno per gli anni 208, 192, 123, 118, 111 avanti Cristo.
      L'uso delle effemeridi perpetue dei pianeti durò fin molto tardi, ciò che si spiega colla facilità di comporle, e colla relativa sicurezza delle predizioni da esse dedotte. Ma queste predizioni erano pur sempre soggette a lacune e ad imperfezioni. Al cominciare del II secolo ebbe origine e prevalse finalmente l'idea di tentare il calcolo a priori dei fenomeni planetari, un calcolo simile a quello che già certamente da molto tempo era in uso per il Sole e per la Luna. Uomini di genio d'ignoto nome, in cui forse era già penetrato in parte lo spirito ellenico, tentarono per la prima volta, non diremo già una teoria dei pianeti nel senso da noi oggi usato per questa parola, e neppure nel senso usato dai Greci, ma d'imitare con serie di numeri artificiosamente combinate, e contentandosi di una assai modesta approssimazione, le leggi con cui si fa il moto apparente dei pianeti in longitudine. Non posero a fondamento, come i Greci, l'ipotesi di moti circolari uniformi variamente combinati, e neppure ebbero la pretesa di descrivere geometricamente e secondo le tre dimensioni dello spazio celeste le orbite percorse da quegli astri. Essi si contentarono di poter annunziare preventivamente le epoche dei loro principali fenomeni, ed i luoghi del cielo dove tali fenomeni dovevano avvenire, senza aspirare ad una determinazione delle distanze dei pianeti dalla Terra.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo I
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 604

   





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