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      Ma quando, di progresso in progresso, si arrivò alla predizione, molte volte confermata, delle eclissi lunari, gli astrologi videro quanta potenza morale essi potevano derivare dalla nuova scienza. Le osservazioni furono continuate sistematicamente e con ordine determinato, i periodi sempre più diventarono esatti, e si giunse così all'idea delle effemeridi perpetue. Da queste poi, verso il cominciare del secolo II prima di Cristo, nacque l'Astronomia empirica dei Babilonesi, di cui abbiamo dato alcuni saggi. In questa si ebbe per iscopo di studiare la forma e le fasi dei movimenti periodici, quali li dà l'osservazione, in modo da ottenere di essi una rappresentazione approssimativa per mezzo di serie numeriche procedenti per differenze costanti, o almeno per differenze uniformemente crescenti o decrescenti. Un simile modo di tradurre le leggi date dall'osservazione in progressioni di numeri non è vera teoria; essa si può giustamente paragonare alle serie trigonometriche di seni e coseni od alle formule paraboliche, con cui al nostro tempo si usa di rappresentare per approssimazione quei fenomeni di cui o non si ha una teoria matematica sicura, o se teoria esiste, non è abbastanza semplice e adattabile alla pratica del calcolo. Queste serie e queste formule si chiamano da noi espressioni empiriche; empiriche dunque dovranno chiamarsi pure le forme di calcolo usate dagli astronomi babilonesi.
      Essi applicarono questo metodo anche là dove veramente la questione non lo richiedeva.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo I
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 604

   





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