Raramente si arresta ai fenomeni isolati, e si compiace nella considerazione delle masse. La natura non è rappresentata come avente una esistenza a parte ed avente diritto all'omaggio per la sua propria bellezza; ai poeti ebrei essa appare sempre nella sua relazione colla potenza superiore che la governa dall'alto. Per essi la natura è un'opera creata ed ordinata, l'espressione vivente d'un Dio dappertutto presente nelle meraviglie del mondo sensibile. Perciò, anche giudicandola soltanto dal suo oggetto, la poesia lirica degli Ebrei doveva riuscire imponente e maestosa".
4. Infinite sono presso gli scrittori biblici le immagini e le comparazioni tratte dal cielo, dalla terra, dagli abissi, dal mare, dai fenomeni dell'aria e dell'acqua, e da tutto il mondo animale e vegetale. La viva impressione ch'essi ne ricevevano trovasi espressa nel modo più sublime da uno dei loro grandi pensatori, l'autore del libro di Giobbe. Nei capitoli XXXVIII e XXXIX, che possono considerarsi come una delle più belle cose della letteratura ebraica, s'introduce a parlare Dio medesimo; il quale per convincere Giobbe ch'egli ha torto di lamentarsi delle sue (benchè non meritate) disgrazie, gli fa vedere ch'ei nulla conosce degli ordini, secondo cui è costituito e governato il mondo, e nulla può capire dei disegni dell'Onnipotente. E a questo proposito gli pone sott'occhio in serie i grandi misteri della natura, affinchè Giobbe si convinca della propria insipienza e del proprio nulla:
Chi è costui che oscura il giudizio con ragionamenti da ignorante?
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