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      SULLE DISTANZE E SULLE GRANDEZZE DEI CORPI CELESTILORO IDEE SULL'ESTENSIONE DELL'UNIVERSO VISIBILE
      Dalle Memorie del Reale Istituto Lombardo. Classe di scienze matematiche e naturali, vol. X, Milano 1867. (Memoria letta nell'adunanza del 18 maggio 1865).
      1. L'opinione che il cielo sia una cavità di forma sferica, e che le stelle si trovino fissate alla sua superficie, o almeno in prossimità di questa, si trova diffusa quasi universalmente in tutta l'antichità. Non mancarono, è vero, alcuni, i quali credettero il mondo infinito, ed altri che, invertendo l'ordine generalmente attribuito alle sfere celesti, dichiararono, le stelle essere a noi più prossime del Sole e dei pianeti. Ma verso il quarto secolo avanti Cristo si può dire che fossero cessate le divergenze d'opinioni circa l'ordine dei cieli; ed unanimemente il cielo delle fisse era riguardato come il più ampio, nel quale tutte le altre sfere, portatrici degli astri erranti, erano disposte concentricamente. Quanto alla forma della superficie celeste, essa era stata dichiarata sferica con generale consenso delle scuole dell'Ionia e dell'Italia, degli Accademici e dei Paripatetici: prima, perchè tale ipotesi consente, sebbene non coll'ultima esattezza, alle apparenze quotidiane: poi perchè la superficie sferica, come eguale e simmetrica a sè stessa in ogni parte, era riputata la più perfetta. I diversi argomenti che a ciò conducono, possono leggersi in Aristotele, de Coelo, lib. II, cap. IV. Sola eccezione fa qui alla comune credenza degli antichi filosofi Empedocle d'Agrigento, il quale, appoggiato alla testimonianza quotidiana dell'occhio, dichiarò il cielo non doversi ritenere come sferico, ma essere anzi la sua superficie schiacciata nel senso verticale.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo I
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 604

   





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