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      A questo sembra aver provveduto Platone assumendo un moto speciale dei pianeti, ciascuno sulla propria spola, parallelamente all'asse di questa: almeno tale sembra l'opinione di H. Martin, il quale colle diverse ampiezze delle digressioni dei diversi pianeti dall'equatore cerca di render conto delle diverse larghezze attribuite da Platone ai circoli dei labbri delle otto spole.
      Ma di questo sia quello che vuol essere. A noi importa constatare che qui non troviamo alcuna traccia di movimento della Terra; e riconoscere in questa fabbrica mezzo ideale e mezzo meccanica il primo tentativo di connettere con una macchina materiale il moto diurno generale del cielo coi moti speciali degli astri erranti. È la sostituzione di organi materiali alla forza centrale armonica dei Pitagorici. Se il moto della Terra era, come ho indicato più sopra, la conseguenza necessaria dell'ipotesi del fuoco centrale, la quiete della Terra era il principio fondamentale e la ragion d'essere del meccanismo di Platone e degli altri analoghi, più perfetti e più artifiziosi, che furono poco dopo inventati da Eudosso, da Callippo e da Aristotele.
      Arriviamo ora alla più grande questione, che abbia suscitato fra gli eruditi l'interpretazione dell'astronomia platonica: la questione relativa alla rotazione del globo terrestre intorno al proprio asse, la quale sembra indicata, sebbene in modo più che ambiguo, in un passo del Timeo, del quale l'interpretazione è questa: "E la Terra, nostra nutrice, avvolgentesi intorno all'asse, che è esteso per tutto l'universo, fu da lui (Dio) costituita a guardiana e a produttrice della notte e del giorno, la prima e la più antica delle divinità nate nell'interno del cielo". (Doc.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo I
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 604

   





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