E non è pur vero, per la stessa ragione, che la Terra sia l'astro tardissimo in apparenza. Il Gruppe non ha notato, che in tutto il passo da lui così felicemente tratto dall'oblio è sempre questione del Sole, della Luna, e dei pianeti; non si parla delle stelle fisse, nè della Terra.
Nè può arrestarci l'obbiezione ch'egli fa, che la dottrina proclamata da Platone in modo così misterioso doveva essere qualche cosa di più arcano che la dottrina filolaica del fuoco centrale, già notissima in quel tempo, dice il Gruppe. Rimane infatti a provare, che la dottrina filolaica fosse notissima nell'Ellade proprio in quel tempo: ciò che il Gruppe non fa, nè può fare. Platone, il quale erasi iniziato a questa dottrina in Italia, poteva conoscerla, senza che si possa inferirne una grande divulgazione. E non convien dimenticare, che ai tempi di Platone era in Grecia e sopratutto in Atene pregiudizio assai divulgato, che l'occuparsi a scrutare i secreti della natura, e del cielo specialmente, fosse opera di cervelli vani e leggeri, anzi cosa empia e dispiacevole agli Iddii. Ce lo attesta l'ospite Ateniese di Platone nel principio dello squarcio che abbiam riferito. E l'intollerante democrazia d'Atene esercitava in quel tempo una terribile censura su tutte le dottrine lontane dalla comune intelligenza, nè usava riguardi a coloro che tentassero di diffondere idee contrarie alle superstizioni popolari. Quando Platone parla nel Fedone della rotondità della Terra, la mette in bocca a Socrate, come una leggiadra favola; quando nel X della Repubblica descrive il meccanismo dei moti planetari, lo fa esporre in forma di sogno da un certo Ero Panfilo, che, risuscitato 12 giorni dopo la morte, narra le cose da lui vedute nel mondo dei trapassati.
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