Ma dopo ch'ebbe presa cognizione delle dottrine pitagoriche, Platone si sentì attratto da quelle, e nelle sue idee cominciò a predominare il moto diurno della Terra, sia rotatorio, come vuole Aristotele, sia rivolutivo, come appare da Teofrasto. E tanto giunse a convincersi della verità di questo movimento, che dichiarò, l'opinione contraria essere ingrata agli Iddìi, e appena perdonabile alla debolezza di quegli uomini, che non partecipano alquanto dell'intelligenza divina.
Ma l'ipotesi pitagorica scomparve con gli ultimi rappresentanti di quella scuola, poco dopo Platone: il fuoco centrale e l'Antiterra, di cui nessuno, dal Tago al Gange e da Tule a Taprobana, avea potuto ottenere notizia che fosser visibili in qualche regione della Terra, cominciarono ad esser relegati fra le fantasie, su cui non avevano presa la geometria, nata nella scuola di Platone stesso. E cosi pure la teoria semiteologica dei motori celesti nel Timeo non trovò eco ulteriore nella scienza, e appena potè propagarsi nelle speculazioni mistiche di certe sette stravaganti che pullularono nei primi secoli dell'era volgare in Egitto ed in tutto l'Oriente. Al contrario, il meccanismo materiale svolto nel libro X della Repubblica, tolto fuori dalle ginocchia della Necessità e liberato dall'ipotesi delle Parche, fu adottato da Eudosso, discepolo dello stesso Platone, e di lui poco più giovane, il quale lo perfezionò e ne trasse la teoria delle sfere omocentriche, uno dei più belli, benchè dei meno conosciuti monumenti dell'antica geometria.
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